Andres Iniesta, c’è luce in fondo al tunnel: il centrocampista racconta al Mundo Deportivo la malattia che poteva cambiare tutto.
Andres Iniesta, questione di calma o karma. Dipende dai punti di vista: essere un calciatore di successo vuol dire fare i conti con l’imprevisto. È una meta molto ambita: chiunque vorrebbe diventare un campione acclamato. Gli striscioni con il tuo nome sopra. I selfie, gli autografi, la popolarità. Un sogno che diventa realtà, ma la quotidianità rispetto ai sogni ha anche un lato oscuro. Quello che nasconde il peso delle aspettative: quando sei un’icona non puoi più tornare indietro.
Il tuo nome ha un livello e una credibilità da mantenere: Iniesta parla proprio di questo aspetto al Mundo Deportivo. Una lunga intervista al capitano del Vissel Kobe ed ex giocatore del Barcellona. Quasi liberatoria. Poter dire che non è tutto oro quello che luccica dovrebbe essere un traguardo da raggiungere: Iniesta, dopo aver dato tanto continuando a correre da una parte all’altra del campo, può farlo senza rimpianti. Allora vuota il sacco: “È stato a inizio carriera, poco dopo aver ingranato. Vedevo che le cose cominciavano a funzionare e mi chiedevo se sarebbe durato. Me lo auguravo, ma non facevo più niente – racconta – mia moglie mi sembrava un cuscino”.
Tanta tristezza nelle parole di un uomo che sembrava avere tutto, poi con l’aiuto di professionisti ne è uscito. La stessa sorte di Ronaldo: sulla bocca di tutti, ma nessuno badava alla sua sensibilità. Non solo in relazione ai pettegolezzi, ma proprio in base anche alle sentenze di gioco: “È un giocatore finito”, dopo gli infortuni al ginocchio, e tante etichette che si potevano evitare.
Un campione è tale soprattutto per come riesce a metabolizzare i momenti da dimenticare. Iniesta ci è riuscito al meglio, almeno questo è quello che traspare: un uomo risolto dopo un cammino lungo e tortuoso. La depressione sicuramente è stata il suo avversario più temibile, ma è riuscito a sconfiggerla. Senza dribbling, ma con un duello a viso aperto.