Gianni Infantino, presidente della Fifa dal 2016, nella conferenza stampa di apertura del Mondiale in Qatar ha provato a stravincere, difendendo la scelta del Medio Oriente, lanciando il pallone nel campo di chi critica il paese ospitante, decisamente discutibile in tema di diritti umani.
“Oggi mi sento qatarino, arabo, africano, oggi mi sento gay, oggi mi sento disabile, oggi mi sento lavoratore migrante”, ha detto l’erede di Blatter nel suo discorso introduttivo, ricordando episodi personali. “So cosa vuol dire essere discriminato, molestato, in quanto straniero. Da bambino, in Svizzera, sono stato discriminato perché avevo i capelli rossi e le lentiggini: io ero italiano e parlavo male il tedesco.
Ho voluto vedere qui le sistemazioni dei lavoratori stranieri e sono tornato alla mia infanzia. Ma come la Svizzera a poco a poco è diventata un esempio di integrazione, così sarà per il Qatar”, ha sottolineato, lanciando un dardo a chi già lavora in Qatar. “Fra le grandi aziende che guadagnano miliardi in Qatar, quante hanno risolto la questione del destino dei lavoratori migranti? Nessuna, perché un cambio di legislazione equivale a minori profitti. Ma noi l’abbiamo fatto: perché nessuno riconosce questo progresso?”.
Il numero 1 del calcio mondiale si riferisce a quanto avvenuto dall’agosto 2020: l’abolizione della Kafala. Di cosa parliamo? Come scrive mondopoli.it, è le regola prima riguardanti i contratti di lavoratori migranti in vigore nelle monarchie del Consiglio di cooperazione del Golfo arabo (Gulf Cooperation Council, Gcc): Emirati Arabi Uniti (EAU), Kuwait, Oman, Bahrain, Arabia Saudita e Qatar.
Migranti e lavoro: il Qatar ha abolito il sistema della Kafala, ma i morti restano
Il sistema della kafala si basava (o si basa?) su un concetto: un lavoratore straniero ha necessariamente bisogno di un kafeel (sponsor) per varcare i confini del paese. A questo punto non sarà il governo centrale a fornire al migrante uno status giuridico; invece, la competenza per regolarizzare le condizioni formali del migrante è delegata dallo stato allo sponsor.
In questo caso, è perciò lo sponsor (che in genere è anche il datore di lavoro) ad assumere la completa responsabilità per tutte le questioni che riguardano i permessi di ingresso nel paese di destinazione, il rinnovo dei permessi di soggiorno o dei visti di lavoro, la cessazione del rapporto di lavoro, il trasferimento a un nuovo datore di lavoro e i permessi di uscita dal paese di destinazione.
Il lavoratore dipende due volte dal suo sponsor-datore di lavoro: in primis per il pagamento dello stipendio; in secondo luogo per lo status di residente nel Paese.
Inoltre, secondo la professoressa del Dipartimento di Antropologia Sociale dell’Università di Bergen, Ang Nga Longva, la terza forma di sfruttamento è dovuta al fatto che chi cancella i diritti è colui che ne stabilisce i doveri.
I datori di lavoro hanno potenzialmente la capacità di piegare i dipendenti all’obbedienza totale, determinando pratiche quali la confisca del passaporto, l’imposizione del pagamento delle tasse di collocamento, la sospensione del regolare pagamento dello stipendio e la minaccia di denunciare arbitrariamente i migranti alle autorità statali per mancata osservanza dei loro doveri. Detto ciò, come su legge su wired.it, The Guardian ha avuto accesso a documenti governativi qatarioti, scoprendo che dal 2010 al 2020 sono morti 6.500 lavoratori impiegati nelle costruzioni legate ai mondiali.
Infantino: “Prima di dare lezioni noi Europei dovremmo chiedere scusa”
“Per quello che noi europei abbiamo commesso negli ultimi 3.000 anni dovremmo scusarci almeno per i prossimi 3.000 anni, prima di dare lezioni morali agli altri Paesi. Queste lezioni morali sono solo pure ipocrisia. Quello che sta accadendo è profondamente ingiusto”, ha sottolineato Infantino. Frasi che banalmente si commentano da sole, perché la Storia non si cambia ovviamente, con tutte le sue nefandezze, ma negare che in Europa si viva, quasi sempre, con norme di diritto che in altri posti – Iran ad esempio – si sognano lontanamente, è una bugia dalle dimensioni difficilmente calcolabili.
Il finale della conferenza è in crescendo, da chiama applausi quasi ci fosse un pubblico composto da figuranti. “Ognuno è benvenuto, di qualunque religione, di qualunque orientamento sessuale sia”, afferma Infantino. Detto che sulla Kafala sono stati fatti passi avanti, non certo definitivi, resta il problema dei diritti in merito alle proprie inclinazioni sessuali. L’articolo 296.3 del codice penale punisce atti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso.
Viene addirittura previsto il carcere per chi “guidi, induca o tenti un maschio, in qualsiasi modo, a compiere atti di sodomia o di depravazione. L’articolo 296.4 invece punisce chi “induca o tenti un uomo o una donna, in qualsiasi modo, a compiere atti contrari alla morale o illegali”.
Caro Infantino, il pallone rimane bucato, le pezze saranno di chi resta, i soldi invece di chi andrà via alla fine del Mondiale.