Tanti auguri Vincenzo D’Amico… simbolo eterno di lazialità

Vincenzo D’Amico, la bandiera più grande della storia della Lazio, avrebbe compiuto oggi settanta anni. Un concentrato di amore, passione e fedeltà

Tanti auguri Vincenzo, anzi…Vincenzino, come tutto il mondo laziale amava chiamarti e ti aveva ribattezzato. Un diminutivo che veniva dal cuore, un vezzeggiativo che intendeva accorciare ancora di più le distanze tra un’intera tifoseria e il suo idolo. Il più rappresentativo. Quello che non ha mai tradito nessuno e al quale tutti noi, almeno una volta nelle nostra vita da laziale, ci siamo affidati.

Vincenzo D'Amico
Vincenzo D’Amico – Lalazio.com

Chi per vincere uno scudetto, chi per aggrapparsi ad un simbolo, quando gli altri avevano tradito la nostra fiducia, chi per evitare dolorose retrocessioni o per sperare in salvezze che sembravano impossibili. Chi per sperare in un suo ritorno dopo un addio doloroso e incomprensibile, o chi, lo ascoltava parlare e difendere la Lazio nei vari salottini televisivi. In un mondo in cui molti fuggivano all’idea di rappresentare i colori biancocelesti, lui ci si è immerso. In un mondo dove soldi, contratti milionari e business prendevano il largo, lui ha sempre preferito il cuore. “Sai quanti soldi avrei potuto guadagnare di più, se avessi avuto un procuratore?“, mi ricordava sempre. “Io mi sono sempre accontentato e non ho rimpianti. Volevo solo stare bene nella Lazio”.

Vincenzo D’Amico, dallo scudetto alle battaglie più intense

Vincenzo, come il titolo di uno dei libri che gli sono stati dedicati dopo la sua prematura scomparsa, non voleva fare il calciatore…bensì il calciatore della Lazio. La squadra che amava, che ha rappresentato in tutti i momenti più intensi della sua storia. Ha vinto uno scudetto giovanissimo, riuscendo a ritagliarsi un ruolo fondamentale, in una squadra di giocatori esperti e dal carattere indomito. “Senza di me l’anno prima l’avete perso, appena sono diventato titolare, guarda come è andata a finire”, scherzava con i suoi ex compagni. Maestrelli lo aveva preso sotto il suo controllo. Nei suoi confronti usava il bastone e la carota. Chiese al club di poterne gestire lo stipendio, limitando i contanti che elargiva nelle sue mani, alle necessità più incombenti. Il resto lo metteva da parte. “Se ho qualche risparmio lo devo a lui”, amava ricordare.

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Vincenzo D’Amico abbracciato da Tommaso Maestrelli dopo una gara allo stadio Olimpico – Lalazio.com

Vincenzo D’Amico oggi avrebbe compito settanta anni. Sono sicuro che dal Paradiso in cui guarda le partite, insieme a Giorgio, Pino, al Maestro e a tutte le persone che ha amato e che sono al suo fianco, si starà stropicciando gli occhi nel vedere la Lazio… la sua Lazio, in questo inizio di stagione. Ha sempre seguito i biancocelesti in questi anni. Ieri come oggi: davanti alla tv o in mezzo ad un campo di gioco. Per la Lazio ha dato tutto. Dopo lo scudetto, si è trasformato in vera e propria bandiera: quando la Banda Maestrelli si stava dissolvendo e la nave iniziava a imbarcare acqua ovunque, si è trasformato in un vero capitano. Si è caricato la Lazio sulle spalle quando alcuni tra i suoi compagni venivano coinvolti nel calcio scommesse; ha salvato dalla serie C una squadra che sembrava spacciata, segnando una tripletta storica contro il Varese, ha riportato la Lazio in A segnando gol pesanti e l’anno successivo, dopo l’infortunio di Giordano, si è trasformato in trascinatore.

In un libro che pubblicai sulla sua storia, mi confessò il peso di quei giorni. “Ricordo solo che andai a battere almeno cinque o sei rigori pesantissimi. Erano situazioni terribili. Non puoi neanche immaginare quanto scottasse quel pallone. Non ci fu un solo rigore non decisivo. Tutti calciati o sullo 0-0, quindi per sbloccare il risultato, o sull’1-0 per loro, il classico rigore decisivo che ti permette di portare a casa il punto, o sul risultato di parità. Ripeto: tutti rigori decisivi. E tutte le volte che andavo a battere, ricordo che prendevo la palla, la sbattevo a terra per allentare la tensione, iniziavo a respirare a fatica. Io ero solito piazzare il tiro dal dischetto. Quei rigori invece li ho tirati sempre forti, spesso centrali e senza guardare, Perchè avevo davvero paura”.

Tre immagini di Vincenzo D’Amico. Con la Nazionale, insieme a Maestrelli e nella figurina dell’anno dello scudetto – Lalazio.com

La cessione al Torino e il ritorno alla Lazio: l’essenza della Lazialità

Vincenzo D’Amico è la Lazio: ne ha incarnato l’essenza, lo spirito, la capacità di non mollare mai di fronte alle avversità. Ne ha scritto le pagine più belle, esaltanti e drammatiche. La chiusura non può che essere dedicata ad uno dei momenti più alti della sua esperienza. Quando il presidente Umberto Lenzini fu costretto (per motivi di cassa) a cederlo al Torino, Vincenzo sentì la terra sotto i piedi, iniziare a cedergli. I granata erano una delle formazioni più forti del nostro campionato, in crescita e con un futuro solido. Vincenzo a Torino avrebbe potuto riconquistare la Nazionale, giocare ad alti livelli in un club che lottava per traguardi ambiziosi. Eppure, dopo una sola stagione, fece di tutto per tornare a Roma. Fu lui ad intavolare la trattativa e a concluderla. Fu lui a lasciare una squadra in Coppa Uefa, per tornare in un club che militava in serie B.

Ma lo ha fatto con grande entusiasmo, sapendo che sarebbe stata la scelta più giusta.“Perchè sono andato al Torino? Perchè Lenzini dovette cedermi, visto che la società era in crisi. Lui fu costretto a vendermi ed io ad accettare. Quando andai a Torino non venni accolto bene: il presidente del club Fedelissimi granata, il gruppo di riferimento dei tifosi del toro, dichiarò in un’intervista a Tuttosport che ero stato un acquisto sbagliato. Secondo lui non avevo le caratteristiche per giocare con la maglia granata. La mia più grande soddisfazione è stata vederlo arrivare a casa mia, al termine di quel campionato e quando si sparse la voce di un mio ritorno alla Lazio, per pregarmi di rimanere, portandomi un trofeo. Ma ormai avevo deciso di tornare alla Lazio. Anzi, fui io, in prima persona a fare la trattativa con il presidente del Toro, facendo risparmiare a Lenzini anche tanti soldi”.

Tanti auguri Vincenzo, il pubblico della Lazio ti ricorda sempre con affetto e non smette di amarti. La bandiera che ti ritrae con la maglia più bella di sempre (con l’aquila stilizzata), sventola fiera allo stadio Olimpico, come simbolo di un amore che non accenna a diminuire.

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