Per la prima volta, da quando ha iniziato la sua carriera da allenatore, Alessandro Nesta affronterà i biancocelesti da avversario. Ecco cosa accadde l’estate del 2002
La prima volta da avversario dei biancocelesti come tecnico. Il primo confronto con la squadra che lo ha lanciato, portato nel grande calcio e che lo ha fatto diventare uno dei difensori più forti del panorama calcistico internazionale. Alessandro Nesta sfiderà Marco Baroni e per la prima volta da quando ha iniziato la sua carriera da allenatore, incrocerà il destino con i biancocelesti. Nesta contro la Lazio. Una sfida vista e rivista da calciatore, ma ancora inedita nel suo nuovo ruolo.
I più romantici e sentimentali, avranno una fitta nel vederlo affrontare la sua squadra del cuore. Per alcuni la sfida avrà solo un valore simbolico, legata al campionato e che varrà tre punti. Ma dimenticare la storia di Alessandro Nesta con la prima squadra della capitale è un esercizio quasi impossibile. Un’avventura durata anni, che lo ha visto crescere, affermarsi, diventare capitano di una delle Lazio più forti della storia, alzare al cielo coppe e festeggiare da leader uno scudetto. E che si è poi consumata in modo doloroso, con il più drammatico degli addii.
Tre scudetti, due Champions League, una Coppa delle Coppe, tre supercoppe Europee, un mondiale per club, tre Coppe Italia, quattro Supercoppe italiane, un campionato del mondo, un europeo under 21, oltre ad un campionato canadese. Al termine della sua carriera Alessandro Nesta può vantare un curriculum straordinario. Ma nessun palmares potrà mai spiegare quello che Nesta ha rappresentato per il pubblico biancoceleste in oltre diciassette anni di carriera, tra prima squadra e settore giovanile. Nesta è stato l’idolo indiscusso, il capitano, l’eroe per un’intera generazione di tifosi. Nella sua storia calcistica si sono identificati migliaia di ragazzi che, come lui, hanno sognato di vestire la maglia della loro squadra del cuore, partendo dai pulcini e arrivando ad indossare la fascia di capitano. E tutto questo, senza mai un solo atteggiamento di ruffianeria o di semplice esaltazione.
Nesta ha sempre schivato microfoni e prime pagine. Non ha mai cercato il contatto con i tifosi. Non ha mai provato ad esaltare il ruolo di capitano-tifoso. In quindici anni è quasi impossibile trovare interviste nelle quali esaltava la sua lazialità, o dove provava ad assumere ruoli di capopopolo. Nesta è così. Ai riflettori ha sempre preferito il campo. Alle dichiarazioni, i fatti. Bloccato da una timidezza, che molti spesso hanno erroneamente interpretato come menefreghismo, non si è mai lasciato andare a dichiarazioni d’amore, messaggi diretti o manifestazioni pubbliche. Il suo amore per la Lazio lo ha confidato alle persone che gli sono state vicino o ha preferito manifestarlo con i fatti. Come quando ha indossato con orgoglio la fascia di capitano in tutti gli stadi del mondo. Come quando ha alzato al cielo i trofei più prestigiosi vinti nella storia biancoceleste. Come quando tramutò in azioni del club diversi stipendi arretrati che la società non era in grado di pagargli. O come quando è stato costretto al sacrificio più estremo. Lasciare la società nella quale era cresciuto e che sentiva sua per salvare il club da un fallimento certo. Una storia durata oltre diciassette anni. Iniziata con un Alessandro bambino prodigio, pronto a mettersi in evidenza sui campi in terra di Cinecittà.
Papà Giuseppe e mamma Maria Laura ne seguono pazientemente la crescita, accompagnandolo sempre al campo. Un bel giorno, Francesco Rocca, ex bandiera della Roma e talent scout della società giallorossa lo vede giocare con autorità ed eleganza in mezzo al campo e lo segnala al presidente Dino Viola. La Roma si presenta a casa Nesta con un’offerta da capogiro: 10 milioni di lire. Un’enormità per un bambino di appena 9 anni. Papà Giuseppe è lusingato, ma allo stesso tempo titubante. La famiglia Nesta è laziale da sette generazioni. Svendere il figlio ai rivali cittadini sembra una bestemmia. Giuseppe alza il telefono, chiama la Lazio. “Per mio figlio ho ricevuto un’offerta da parte della Roma, ma vorrei che anche la Lazio gli desse una possibilità”.
Detto, fatto. Viene organizzato un provino al campo Francesca Gianni. Tra oltre 200 bambini, Alessandro si mette in evidenza, convincendo gli osservatori biancocelesti. Siamo a metà del 1985. Da li inizia una lunga avventura destinata a durare fino al 31 agosto del 2002, quando qualcuno decise di interromperla per sempre. Sotto la guida di Volfango Patarca, storico responsabile della scuola calcio laziale, Alessandro cresce vistosamente. Lega subito con Marco Di Vaio, giovane attaccante, con il quale forma una coppia molto solida: dentro e fuori dal campo. Gioca prima da centrocampista, poi da ala, infine da terzino. Nei suoi anni di settore giovanile vince scudetti e gioca in tutte le nazionali minori.
Nel 1994 arriva la grande occasione. Zoff lo fa allenare spesso con la prima squadra, intuendone le qualità. Il 13 marzo la Lazio è attesa alla trasferta di Udine, contro i friulani. E’ una gara difficile per i biancocelesti, che dopo pochi minuti rinunciano ad Alen Boksic per infortunio e sono costretti a rincorrere i padroni di casa che vanno due volte in vantaggio. Ma la Lazio, in maglia gialla, c’è e si fa sentire. Ad un quarto d’ora dalla fine e con il risultato in bilico, Zoff decide che è arrivato il momento di gettare nella mischia forze fresche, e di grande qualità. E’ il momento che Alessandro aspettava da una vita. Entra in campo al posto di Casiraghi e gioca un quarto d’ora a difesa del risultato, piazzandosi nel ruolo di terzino. Un esordio positivo, bissato quindici giorni più tardi nella trasferta di Torino, quando Zoff gli concede pochi minuti nel finale di gara.
Inizia un’avventura straordinaria che lo porta, negli otto anni successivi, a diventare il leader della difesa, il capitano della squadra e a vincere una lunga serie di trofei. E’ lui a segnare il gol decisivo nella finale di Coppa Italia dell’Aprile del 1998, è lui ad alzare al cielo (da infortunato) la Supercoppa Italiana a Torino: si ripeterà anche a Birmingham con la Coppa delle Coppe, con la Coppa Italia del 2000 e con la Supercoppa Italiana. Il capolavoro è lo scudetto del 2000, che Alessandro vince da capitano.
Dopo il tricolore Nesta firma un rinnovo di contratto fino al 2005. Vuole restare a vita la bandiera della Lazio. Seguirne la crescita, diventando una leggenda. Entra nel cda della Lazio, diventandone il primo giocatore azionista. Ma nel 2002 succedono una serie di cose inimmaginabili. La società di Cragnotti è in crisi economica. La squadra, guidata da Zaccheroni, manifesta le difficoltà societarie anche sul terreno di gioco. Dopo tre anni al vertice della classifica, con un primo, un secondo e un terzo posto, la squadra arranca, raggiungendo solo in extremis il sesto posto, valido per la Coppa Uefa. E’ un campionato complicato, ricco di momenti difficili. Nel derby di ritorno ad esempio, la squadra soccombe in maniera inaspettata, con lo stesso Nesta, incapace di emergere. Il capitano resta negli spogliatoi a fine primo tempo, quasi come un segno di resa. “Ogni giocatore ha il suo giorno no. Quello dove va tutto storto. Per me fu quello” spiega a distanza di anni in una lunga intervista televisiva.
Ma la spiegazione è semplice. “In quella settimana venni convocato in gran segreto dalla società. Mi dissero che avevano intenzione di vendermi a fine anno perchè erano in grande crisi. C’era una buona offerta dalla Juve. Io dissi di no, feci un macello, ma giocai quel dery in condizioni psicologiche terribili. Non presi una palla, anzi un gol me lo feci quasi da solo. A fine primo tempo pensai…andate tutti a quel paese, non rientro più. Sbagliai, ma ero giovane e ancora poco esperto. Oggi non rifarei mai quell’errore”. A fine stagione l’addio si concretizza: “Non volevo andarmene dalla Lazio. Guadagnavo bene, era la mia città, ero tifoso della squadra per la quale ero capitano. Il mio mondo era li. Quell’estate ho rifiutato tutte le squadre che presentavano un’offerta al club. Poi l’ultimo giorno di mercato, mentre facevamo il torello a Formello mi chiama il figlio del presidente Cragnotti, passandomi il telefono”.
“Era il mio procuratore che mi diceva di abbandonare tutto e andare via perchè avevano chiuso col Milan. Stavolta non potevo fare nulla. Non potevo dire di no. E sono andato via durante l’allenamento. Stralunato ho lasciato tutto e sono volato a Milano, con i laziali che mi imploravano di restare. Anche io volevo restare, ma non potevo farci niente. Arrivo a Milano, firmo il contratto e mi portano allo stadio dove c’era un derby amichevole. Entro in campo, vado sotto la curva e vedo che dall’altra parte c’è Crespo, che la mattina si allenava con me a Formello. Quando gli ho chiesto che ci faceva li, mi disse che lo aveva preso l’Inter. A quel punto il mio primo pensiero fu ai tifosi e alla Lazio. Mi chiesi se fosse rimasto qualcuno lì a Formello”.