Il Lecce per tutti i tifosi biancocelesti resterà per sempre la squadra che infranse il sogno della Roma di Eriksson lanciatissima verso uno scudetto incredibile
La Lazio e il Lecce, anche se divisi da colori che sulla sponda biancoceleste fanno immediatamente pensare alla stracittadina, sono comunque legate da ex giocatori che prima di fare fortuna con l’aquila sul petto hanno esordito proprio nel Salento e da tanti allenatori che nella loro carriera si sono seduti sulle due panchine. Uno di questi resta senza dubbio Eugenio Fascetti che, prima di compiere il miracolo assoluto di quella straordinaria salvezza partendo da nove punti di penalizzazione, evitando così il definitivo fallimento della Lazio, si era reso protagonista di un’altra clamorosa impresa che da tutti i tifosi biancocelesti viene ancora considerata come un ulteriore scudetto!
Era il 20 aprile 1986, la Roma di Boniek, Nela, Graziani, Ancelotti e lo svedese Sven Goran Eriksson in panchina, dopo una straordinaria quanto sorprendente rimonta, aveva agguantato la Juventus in testa alla classifica. Ai giallorossi sarebbe bastato appunto battere il già retrocesso Lecce per conquistare un terzo scudetto a pochi anni di distanza dal secondo, ma quel giorno gli dei del calcio e un allenatore vero decisero che la storia sarebbe stata diversa.
Una partita che ha fatto la storia
Qualche anno prima c’era stata la famosa fatal Verona, una partita che era passata alla storia per la clamorosa sconfitta che aveva costretto il lanciatissimo Milan a un’inopinata figuraccia contro una squadra già retrocessa e aveva di fatto consegnato proprio all’ultima giornata lo scudetto alla Juventus. Davide contro Golia, la bellezza del calcio, il mistero del calcio, il motivo per cui è lo sport che più appassiona. Nessuno può dirsi sicuro di vincere, e quasi quindici anni dopo ci fu l’ennesima riprova.
La Roma, con in panchina Sven Goran Eriksson, un tecnico giovane, con idee molto innovative, che aveva già sorpreso l’Europa intera alla guida del piccolo Goteborg con il quale riuscì a vincere una clamorosa Coppa UEFA, grazie a uno straordinario girone di ritorno, era stata capace di rimontare punto su punto la favoritissima Juventus, fino ad arrivare al sorpasso decisivo proprio nelle ultime giornate. E alla vigilia della penultima giornata, le basta così battere in casa il retrocesso Lecce davanti ai propri tifosi, in uno stadio Olimpico completamente esaurito, per mettere definitivamente le mani sul terzo scudetto della sua storia. Ma quella che doveva essere una semplice formalità si trasformò in uno psicodramma collettivo che ancora oggi viene ricordato come uno dei risultati più clamorosi della storia del calcio italiano.
Il miracolo di Fascetti
Quella stagione fu la prima del Lecce in Serie A e la squadra giallorossa si presentava con due giocatori stranieri di ottima levatura come Barbas e Pasculli, ma anche con un certo Antonio Conte in rosa che poi farà una straordinaria carriera nella Juventus e nella Nazionale italiana. In Panchina siede Eugenio Fascetti, un allenatore toscano vecchio stampo che non le manda a dire e chiede ai suoi giocatori sempre il massimo impegno. Fascetti era riuscito nell’impresa di portare per la prima volta in A il club pugliese, ma nonostante un buon inizio con tanto di pareggio in casa del Verona Campione d’Italia in carica, l’impatto con la massima serie fu tosto e i giallorossi ben presto sprofondarono e si ritrovarono a guardare tutti dal basso verso l’alto.
Alla penultima giornata il destino del Lecce è già segnato e deve fare visita alla lanciatissima Roma che con la vittoria sarebbe di nuovo Campione. Una partita strana, forse festeggiata con troppo anticipo, e il gol di Graziani dopo solo 7 minuti finì per far credere a tutti che il trionfo era cosa fatta. Invece gli uomini di Fascetti giocarono una partita libera mentalmente e già nel primo tempo risposero con Di Chiara e Barbas su rigore, ma a gelare i sessantamila dell’Olimpico fu ancora lo stesso centrocampista argentino, che a pochi minuti dall’inizio della ripresa mise a segno il gol dell’uno a tre. A nulla valse il gol di Pruzzo al minuto 82, la Roma quel giorno perse non soltanto due a tre la partita, ma anche il titolo di Campione d’Italia. Per Fascetti fu un segno del destino, fermare la corsa della Roma prima di passare di lì a poco sulla sponda biancoceleste della Lazio, con la quale scrisse alcune delle pagine più leggendarie della più antica squadra della Capitale.