Il 21 gennaio è il giorno in cui sono nati due giocatori simbolo dell’anno del meno nove. Due elementi rimasti nella storia del club biancoceleste
Due capitani; due simboli indiscussi di professionalità, passione e lazialità: il 21 giugno sono nati due calciatori che hanno scritto importanti pagine nella storia della Lazio. Giocatori in grado di lasciare il segno e di diventare leader indiscussi del club: due elementi che hanno preso per mano la squadra nella sua stagione più difficile, trascinandola fino alla salvezza.
Il 21 giugno sono nati Giuliano Fiorini e Gabriele Pin: il primo è stato l’attaccante che ha legato per sempre il suo nome alla storia della Lazio, segnando il gol salvezza nello storico spareggio casalingo contro il Vicenza nel 1987. La rete che scacciò l’incubo e che portò gli uomini di Fascetti agli spareggi di Napoli. In quella squadra e nelle Lazio successive, recitò un ruolo fondamentale anche Gabriele Pin: metronomo del centrocampo e capitano per diversi anni.
Il bomber è quello che deve toglierti le castagne dal fuoco nei momenti di difficoltà, quello a cui i compagni si aggrappano nel momento del bisogno. La figura carismatica capace di farsi amare dal pubblico, rispettare dagli avversari e dai dirigenti della propria società. Giuliano Fiorini è stato tutto questo. Non era bello da vedere. Non aveva un fisico da calciatore. Era lontano anni luce dalla classica figura del calciatore – modello che piace alle veline. E per essere un centravanti non era neanche troppo prolifico. Ma era amato dai tifosi e rispettato dai suoi compagni. All’interno dello spogliatoio era il leader carismatico. Nelle litigate in famiglia era quello che interveniva e riportava il buonumore. Era quello che al termine della gara si metteva sotto la doccia e si beveva una birra. Era quello che durante la settimana partecipava alle cene con i tifosi e rimaneva fino a notte fonda a fumare e a parlare di Lazio con loro. Era uno di loro.
In campo non si fermava mai. Non c’era una sola gara nella quale si risparmiava. Con i suoi gol, con il suo fisico, con le sue giocate, con tutto il suo cuore. Fiorini gioca solo due campionati con la maglia della Lazio, ma il suo nome resterà per sempre legato a quello della società biancoceleste. Arriva nella capitale l’estate del 1985. La Lazio è in piena crisi societaria; abbandonata da Chinaglia e in attesa di un nuovo, vero padrone. In panchina c’è Gigi Simoni. In campo, al fianco del bomber si mette in evidenza Oliviero Garlini, che grazie agli assist e alle giocate di Fiorini si laurea capocannoniere. Quest’ultimo si accontenta di soli cinque gol: tre in campionato e due in Coppa Italia.
Durante l’estate accade di tutto: il rischio fallimento, l’arrivo del nuovo presidente Calleri, la retrocessione d’ufficio in serie C, il processo sportivo e il cambiamento della prima sentenza, che diventa una condanna a morte posticipata: la Lazio resta in B, ma parte con nove punti di penalizzazione. L’epoca dei tre punti a vittoria è ancora lontana e quando mister Fascetti chiede a tutti i giocatori di rimanere e di iniziare questa avventura, il gruppo sa che se accetta dovrà vincere quattro partite e pareggiarne una prima di ripartire da quota zero.
Giuliano Fiorini non ci pensa su due volte ed è tra i primi ad accettare, trascinando anche il resto del gruppo. La stagione è un susseguirsi di emozioni: Fiorini si infortuna alla seconda giornata di campionato. “Affrontavamo il Messina – dichiara ai microfoni della trasmissione Sfide, che dedica un servizio speciale sull’impresa della Lazio – ed era già un mezzo spareggio. Loro erano neo promossi e noi sapevamo che avrebbero lottato con noi fino alla fine”. Le immagini di Fiorini che esce dal campo zoppicando fanno da preludio al risultato finale: Lazio – Messina 0-1. In pratica la Lazio parte da meno undici. Nonostante tutto la voglia di rivalsa è tanta, pari alla grinta che i calciatori mettono in campo: durante la stagione il bomber è il leader e il capocannoniere della squadra: segna sei gol, tutti decisivi, che portano la Lazio a risalire la classifica. A metà stagione la Lazio è addirittura nelle parti medio alte della graduatoria e c’è chi sogna un finale sprint. Ma gli sforzi profusi per eliminare la penalizzazione si fanno sentire e portano inesorabilmente ad un calo.
“Siamo scivolati in classifica – continua Fiorini – inesorabilmente e inconsciamente, perdendo anche dei punti in maniera inaspettata. Come nella sfida interna con la Sambenedettese in cui meritavamo di più e nella quale invece pareggiammo. Ci siamo accontentati anche in altre partite e piano piano, ti ritrovi che sei di nuovo in fondo”. Ti ritrovi a doverti giocare tutto nell’ultima gara contro il Vicenza. La classica sfida da dentro o fuori: se vinci puoi salvarti, se pareggi o perdi getti alle ortiche tutto quello che hai fatto in un intero campionato. Quando le squadre entrano in campo c’è uno stadio stracolmo che attende da tre ore l’ingresso dei giocatori.
La Lazio attacca per tutti i novanta minuti, ma riesce a trovare il gol vittoria solo a cinque minuti dal termine. Indovinate di chi è la firma: del bomber Fiorini. Come sempre! Quando Fiorini si avventa sul tiro cross di Podavini, riesce a scaricare alle spalle del portiere vicentino Dal Bianco (ancora oggi maledetto da tutti i tifosi laziali per gli innumerevoli miracoli compiuti in quella gara) tutte le paure, le tensioni e le ansie di un anno intero. Grazie a questo gol Fiorini regala alla Lazio la possibilità di giocarsi la salvezza negli spareggi di Napoli e lega in maniera indelebile il suo nome a quello della società biancoceleste.
“Trovo veramente scandaloso pensare che un giocatore come Gabriele Pin non abbia mai giocato in nazionale”. Con queste parole Angelo Adamo Gregucci spiega meglio di chiunque altro la classe, la tecnica, l’eleganza e l’esperienza che Gabriele Pin ha regalato al mondo biancoceleste nei suoi sei anni nella capitale. Pin è stato il leader, il capitano, la bandiera, il giocatore più rappresentativo di quegli anni. Arrivato a Roma dopo aver vinto uno scudetto, una Coppa delle Coppe e una Coppa Intercontinentale con la Juventus, si è subito calato alla perfezione nel mondo laziale, facendo da chioccia ad un gruppo che sotto la guida di Fascetti è stato in grado in due stagioni di ottenere una salvezza insperata e una promozione in serie A. Poi, diventato capitano della squadra, ha guidato il centrocampo biancoceleste per altri quattro campionati, collezionando duecentoventicinque presenze con la maglia della Lazio.
Memorabile la sfida in campionato contro il Napoli di Maradona, nella stagione in cui i partenopei vinsero il titolo. Pin, che per l’occasione sfoggia la maglia numero dieci, illumina il gioco della Lazio mettendosi in evidenza tra i giganti azzurri. Entra nell’azione del gol del vantaggio e segna il raddoppio, con un tiro di esterno preciso e potente a conclusione di un contropiede perfetto. Per Fascetti, Materazzi e Zoff è stato una pedina fondamentale. Il cardine del gioco. Quando con l’avvento di Sergio Cragnotti lascia la capitale per trasferirsi al Parma i tifosi sono increduli. La Lazio, che sta per diventare finalmente grande, riparte senza il suo capitano. Sembra quasi un segno del destino. Il suo compito sembra infatti chiudersi nel momento in cui la Lazio non ha più bisogno di lui.
Ha iniziato la sua avventura romana con la squadra biancoceleste ad un passo dal baratro (in B e con lo spettro della retrocessione a causa del calcio scommesse) e l’ha chiusa nel momento in cui la società inizia a stabilizzarsi nell’elite del calcio italiano. Forse qualcuno in società si era convinto che, alla soglia dei trentuno anni, non potesse più essere il faro della squadra, ma ha commesso un errore. Una volta a Parma e nelle quattro stagioni in maglia gialloblu, ha vinto una Coppa Uefa, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Europea, mettendo in mostra tutte le qualità evidenziate con la maglia della Lazio