Dall’arrivo nello scetticismo in estate al primo posto nel girone di Europa League: il capolavoro di Marco Baroni
È un condottiero silenzioso, Baroni. Non ha la mimica esuberante, la gestualità teatrale, la comunicazione “alla Conte”. Eppure, sotto quella calma apparente, pulsa un cuore di guerriero. Nessuno, o quasi, si aspettava di vedere una Lazio così “feroce” sotto la sua guida.
Come si legge nell’edizione odierna del Corriere dello Sport conoscevamo il buon senso, l’educazione, l’eloquio misurato di un allenatore capace di firmare salvezze, come quelle ottenute con Lecce e Verona.
Ma alla Lazio sta venendo fuori un profilo inedito, quello di un tecnico pragmatico, affamato di vittorie, capace di trasmettere una mentalità vincente a tutta la squadra. “Giocare per vincere sempre, in ogni competizione, come se non ci fosse un domani”: questo lo slogan che risuona a Formello. Una mentalità da grande squadra, che va ben oltre la tattica, le strategie, il metodo di allenamento e un gioco moderno.
Forse, questa “metamorfosi” è frutto della gavetta, di un percorso lungo e tortuoso che ha portato Baroni, dopo aver compiuto sessant’anni, a calcare i palcoscenici europei. Eppure, le luci della ribalta, le notti magiche del mercoledì o del giovedì, non erano sensazioni del tutto sconosciute per lui: le aveva già assaporate ai tempi in cui era un difensore illuminato di Roma e Napoli, ai tempi del Maradona “divino”.
“Serate meravigliose“, raccontava con un velo di nostalgia prima di affrontare la Real Sociedad. Un avversario di tutto rispetto, con giocatori del calibro di Oyarzabal (decisivo nella finale dell’Europeo di pochi mesi fa) e Zubimendi (vice Rodri nella nazionale spagnola). Mica gente qualunque.
E poi, la magia. Tre gol in 34 minuti, uno spettacolo travolgente che ha blindato gli ottavi di finale e, quasi certamente, il primo posto nel girone. La Lazio si erge a regina d’Europa, guardando dall’alto in basso ben 35 club. Nomi altisonanti come Bilbao, Eintracht, Manchester United, Tottenham, Galatasaray, Fenerbahce, Porto, e persino la Roma, tutte relegate alle sue spalle. Un’impresa che, tra luglio e agosto, sarebbe apparsa a dir poco “impronosticabile”. Un vero e proprio capolavoro.
La vera scoperta di questo straordinario cammino europeo è proprio questa: la Lazio di Lotito, negli ultimi vent’anni, raramente si era espressa con tale continuità ad altissimi livelli, giocando ogni tre giorni con la stessa intensità.
Ci aveva provato Inzaghi nel 2017/18, sfiorando la qualificazione in Champions League e arrivando ai quarti di Europa League. Sarri, che vanta il miglior piazzamento in Serie A dell’attuale gestione (secondo posto nel 2023), un anno fa era arrivato agli ottavi di Champions League, pagando però un dazio pesante in campionato.
Baroni, invece, sta realizzando un “unicum”. La Lazio sogna la finale di Bilbao e, perché no, anche un ritorno in Champions League. Intanto, si è già messa in tasca gli ottavi di Europa League, tornando in campo a marzo e godendo di due settimane “libere” da impegni a febbraio. Un vantaggio non da poco.
A Formello, nessuno era abituato a tutto questo. Alla vigilia della partita contro la Real Sociedad, in molti (forse troppi) avevano storto il naso di fronte alla scelta di Baroni di schierare i titolari, “snobbando” la successiva partita con la Fiorentina. Ma il campo ha dato ragione al tecnico, con una prestazione maiuscola che ha dimostrato la forza e la mentalità di questo gruppo. Un segnale forte, che ha compattato ulteriormente lo spogliatoio.
Si può discutere, certo, della scelta di preferire Rovella a Dele-Bashiru, ma ciò che conta è il concetto espresso da capitan Zaccagni: “Il mister ce lo aveva detto, vincendo sarebbe aumentata la fiducia, i risultati danno forza e consapevolezza. Potevamo pensare al pareggio, invece abbiamo dimostrato la solita fame“. Parole che trasudano convinzione e ambizione.
Gila rincara la dose: “Possiamo vincere l’Europa League“. E Guendouzi lo segue a ruota: “Questo è un grande club, con un grande allenatore e grandi giocatori. Ho perso una finale di Europa League. Voglio arrivare in fondo“.
E poi, le parole di Baroni, che mettono un freno a facili entusiasmi: “Vorrei non si considerasse normale il lavoro di questo gruppo, ma non abbiamo ancora fatto niente, lo ripeto in ogni allenamento ai giocatori“. Un monito che serve a tenere alta la concentrazione e a non cullarsi sugli allori.
Ma c’è un’immagine che sintetizza perfettamente la mentalità di questa Lazio: Pedro, 37 anni, che entra in campo sul 3-0 e in superiorità numerica e si avventa su un pallone che colpisce la traversa, come se fosse l’ultima palla della sua vita. Ecco la Lazio di Baroni, capace di “catturare l’attimo” e di spingersi oltre ogni limite. Una Lazio che fa sognare.