I fatti, le gare, i momenti più rappresentativi della storia della Lazio, vissuti il 17 marzo nella sua storia. Una finale straordinaria, vinta grazie ad una doppietta di Fiore
Il 17 marzo del 2004 la Lazio di Roberto Mancini, nel bel mezzo di una crisi economica senza precedenti e con l’ombra del fallimento dietro l’angolo, batte 2-0 la Juventus di Marcello Lippi nella finale di andata di Coppa Italia, mettendo le mani sul trofeo (che vincerà, resistendo al tentativo di rimonta dei bianconeri) qualche settimana dopo nel match di ritorno. Un successo storico, arrivato al termine di una gara molto combattuta. La gara è anticipata da una coreografia incredibile. Uno spettacolo inimitabile, che coinvolge la curva nord e l’intero stadio. L’Olimpico sfodera una passione unica: sessantamila spettatori sugli spalti, con una grinta mai vista. All’ingresso in campo lo scenario è da brividi, e fa aumentare l’adrenalina e l’emozione.

In curva nord capeggia una scritta eloquente: Avanti Lazio! Conquistala per noi! Ai lati due coccarde che raffigurano la Coppa Italia e al centro della curva un mix di bandiere biancocelesti e tricolori a formare, con l’atmosfera classica dei match giocati in notturna, uno spettacolo unico. La tribuna Tevere supera se stessa, con una scenografia mozzafiato e insuperabile: un enorme bandierone raffigurante l’aquila biancoceleste, fiera e indomita, scende sulla tribuna e viene contornato da ventimila bandierine che, sventolate insieme, creano due scenari: nella parte alta il celeste, il bianco e il blu vanno a rappresentare i nobili colori della bandiera laziale; nel parterre il verde, il bianco e il rosso creano il tricolore italiano. Ai piedi della tribuna viene esposto un lungo striscione emblematico: Onorate Lei, fiera e mai doma… unico vero simbolo di Roma!
Un inizio difficile
L’inizio di gara è difficile. La Lazio sembra imballata sulle gambe. Probabilmente è fermata dall’emozione e da un pizzico di inesperienza. La Juve crea di più e la Lazio si fa vedere solo allo scadere: al 45′ Oddo batte un fallo laterale sui piedi di Fiore; questi gli restituisce la sfera e permette al terzino di andare al cross. Sullo spiovente teso si avventano Corradi e Chimenti; nessuno dei due tocca la palla, che si insacca in rete sul secondo palo. Lo stadio esplode, ma nel giro di pochi secondi Collina riporta tutti con i piedi per terra. Il fischietto viareggino vede una spinta di Corradi e annulla la rete del vantaggio.

Le emozioni più grandi arriveranno nella difesa. La Lazio spinge e si procura un calcio di rigore. Sul pallone si presenta Cesar (che non aveva mai calciato dagli undici metri, eppure mostra una grande sicurezza. La rincorsa è breve, simile a quella che amava prendere Beppe Signori in passato, ma al contrario del biondo attaccante, Cesar calcia in maniera debole e troppo centrale, favorendo la parata di Chimenti.
Dalla disperazione alla gioia
La smorfia di Mancini è eloquente e si aggiunge alla disperazione dei tifosi. Il colpo psicologico del penalty fallito può risultare decisivo, ma proprio in quel momento scatta qualcosa. I sostenitori laziali capiscono che l’errore del brasiliano può essere un semplice ostacolo su un percorso che può portare al trionfo. Dalla curva Nord il coro di incitamento cresce in maniera esponenziale e la squadra sul campo continua imperterrita la sua lotta.

La Lazio ci crede e trova in pochi minuti i due gol che decidono la gara: è Stefano Fiore il mattatore della sfida. Il centrocampista segna una splendida doppietta. Il primo gol in spaccata e il secondo in mezza rovesciata. Lo stadio esplode, seguito dai giocatori che sul campo impazziscono: Fiore sventola al cielo la maglia e viene sommerso dall’abbraccio dei compagni. Questa volta arrivano tutti i giocatori, anche quelli della panchina, che sommergono il centrocampista in un vero e proprio muro umano.