La clamorosa sconfitta, almeno nel risultato eclatante, di ieri pomeriggio contro il Bologna, fa emergere ancora una volta la doppia anima di una squadra che non ha vie di mezzo
La Lazio di Marco Baroni affonda sotto i colpi del Bologna di Italiano, più tonico, più in forma, più assatanato dei biancocelesti che vengono letteralmente spazzati via dagli avversari, soprattutto in un secondo tempo troppo brutto per essere vero se non fosse che una mancata reazione del genere, che si trasforma in una “Caporetto” epocale, l’avevamo purtroppo già conosciuta tre mesi fa contro l’Inter all’Olimpico.
La sosta del campionato arriva forse nel momento giusto per permettere ai giocatori e allo staff tecnico di riordinare le idee e recuperare tutte le energie fisiche e mentali che serviranno per il rush finale della stagione, che vedrà ancora una volta la Lazio impegnata in tre partite a settimana tra gli impegni “interni” e quelli europei. Uno stop per lasciare spazio alle Nazionali indispensabile per ritrovare quella brillantezza e quella spiensieratezza che aveva fatto tutte le fortune di questa squadra nella fase ascendente della stagione.
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Sette partite in 21 giorni e alla fine inevitabilmente si è accesa la spia della riserva nel motore dei giocatori. Una sconfitta però dai contorni umilianti quella subita dai biancocelesti ieri pomeriggio al Dall’Ara contro il lanciatissimo Bologna, una sconfitta che nei contorni e nell’andamento ricalca quella subita a dicembre in casa contro l’Inter di Inzaghi, anche quella per certi versi storica.
Indubbiamente la squadra ha pagato tutto insieme l’enorme sforzo fatto in queste ultime settimane per rimanere a galla in campionato e per superare il turno in Europa League ed entrare così tra le migliori otto del torneo. Sicuramente Baroni poteva gestire meglio la rosa, alternando maggiormente i giocatori a disposizione in modo da non spremere fino all’osso sempre gli stessi, qualche infortunio non sarà stato gestito al meglio, ma è innegabile che tra perdere una partita e subire un cappotto così umiliante forse c’è una via di mezzo che non può finire di deprimere del tutto l’umore di un ambiente, anche se abituato alle montagne russe stagionali.
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Perchè resta davvero complicato capire come una squadra sia in grado di compiere due autentiche imprese il soli quattro giorni come quella di vincere a San Siro contro il Milan al minuto 97, dimostrando carattere, voglia di riprendersi quello che stava meritando già sul campo, o di compiere addirittura un’impresa eroica nella trasferta europea provando a vincere anche lì all’ultimo tuffo dei minuti di recupero, sotto di due uomini e in grande difficoltà, contro un avversario che si è dimostrato anche più forte di quello che si pensava. Quando poi si mettono a confronto con le due debacle storiche prese in campionato contro Inter e Bologna. Due sconfitte identiche, subite da una squadra abulica, vuota, incapace di reagire alle avversità contingenti, incapace di stringere i denti e provare a contenere il passivo.
Soprattutto con un atteggiamento davvero inspiegabile al ritorno in campo dopo l’intervallo dove, già in svantaggio, non si è sfruttata la pausa per riordinare le idee e provare a rientrare in campo con una voglia e una rabbia diversa, ma subendo entrambe le volte altri due gol, nel giro di tre minuti, che trasformano immediatamente una sconfitta in una batosta epocale. Barella e Dumfries al 51′ e al 53′ minuto contro l’Inter, Orsolini e Ndoye al 48′ e al 49′ minuto. Un atteggiamento incomprensibile, un Doctor Jekyl e Mister Hyde senza una spiegazione e al quale il tecnico Baroni deve trovare una soluzione per concludere nel verso giusto una stagione che aveva fatto sognare i tifosi biancocelesti.