Una partita infinita ha sancito l’amarissima eliminazione dall’Europa League della Lazio nonostante una prova generosa e coraggiosa soprattutto del suo centrocampista
Ci sono certe notti che non vedi l’ora di vivere. Ci sono certe partite che non vedi l’ora di giocare perchè le hai sognate per tutta una vita. Ci sono certe sconfitte che sono difficili da spiegare e poi da metabolizzare, ma che non possono comunque non rendere orgogliosi un gruppo di giocatori che, gettando il cuore oltre l’ostacolo, dopo 120 minuti di battaglia e una maledetta serie dal dischetto, vedono svanire tra le mani un sogno che stava diventando realtà.
Matteo Guendouzi è l’infaticabile tutto fare del centrocampo biancoceleste. Prima con Sarri, poi con Tudor, ora con Baroni, il francese è il vero insostituibile nella rosa della Lazio. 46 partite lo scorso anno, già 44 quelle disputate in questa, ma soprattutto una presenza, una leadership, una cattiveria agonistica che da tanto tempo mancava nella squadra biancoceleste.
LEGGI ANCHE: Genoa-Lazio, Baroni conta i superstiti: la probabile formazione
Una notte impossibile da dimenticare
Una notte che comunque alla fine resterà indimenticabile per tutto l’ambiente biancoceleste. Un’altalena di emozioni che resterà scolpita nel cuore e nella mente dei giocatori e di tutti quei tifosi presenti allo stadio che hanno a lungo cullato il miracolo di una remuntada che sembrava prima difficile, poi impossibile, poi praticamente riuscita e sul più bello svanita con la più atroce delle beffe: i calci di rigore. Uno psicodramma collettivo che ha coinvolto tutta la gente presente allo stadio e tutti i giocatori in campo.
L’immagine della serata non può che essere stata quella di Guendouzi furente di rabbia e di delusione prendersela con chiunque provasse ad avvicinarsi a lui, mentre imboccava le scalette dello spogliatoio dopo aver fatto un giro di campo solitario per ringraziare comunque tutta la gente. Il centrocampista francese, sarà per la sua folta e particolare capigliatura, sarà per quel suo modo di giocare senza mai risparmiarsi, sarà perchè non fa nulla per nascondere la sua indole da guerriero indomito pronto a discutere e all’occorrenza litigare con qualsiasi avversario, è oramai diventato uno degli idoli dell’intera tifoseria biancoceleste. E ieri ha disputato una gara enorme andando anche oltre forza, capacità e resistenza.
LEGGI ANCHE: Lazio-Bodo, la verità sui rigori: ecco perchè hanno calciato Noslin, Tchaouna e Taty
Alla fine anche il guerriero si è arreso
Guendouzi ha provato in tutti i modi a suonare la carica ai suoi compagni, ha lottato come al solito insieme al compagno di reparto Rovella in mezzo al campo, cercando di recuperare più palloni possibili, un modo per dare energia e continuità a quella pressione che la Lazio doveva esercitare sugli avversari per alimentare la manovra offensiva. Sempre pronto a proporsi in attacco, sempre in aiuto del compagno per uno “scarico” facile e poi pronto a far girare di nuovo il pallone.
La fotografia delle capacità, non soltanto tecniche ma anche temperamentali di Guendozi sono merse prepotenti al minuti 100, quando una sua azione insistita alla Zaccagni ha permesso a Dia di realizzare il gol in quel momento qualificazione. Un assist straordinario che l’attaccante senegalese questa volta non poteva fallire. Il francese, nella dinamica dell’azione, si è così ritrovato a ridosso dei tabelloni pubblicitari sotto la curva Maestrelli e, dopo aver visto il pallone finire in rete, non ha esitato a scavalcarli e correre solitario verso la gente assiepata in quello spicchio di stadio.
Infallibile pure dal dischetto
Cercava quell’abbraccio, cercava quell’entusiasmo dilagante, perchè il miracolo si stava compiendo. Poi i rigori, quella maledetta o benedetta lotteria che ha visto Guendo nel cerchio di centrocampo insieme ai compagni come da regolamento, ma isolato dal gruppo e soprattutto senza il coraggio di guardare i tiratori che si alternavano dal dischetto, ma rivolto ancora verso quella curva che oramai sentiva sua e capire l’esito del tiro dal respiro di quella gente.
Poi è stato anche il suo turno di andare sul dischetto, serviva il gol per mantenere in vita la sua Lazio dopo gli errori di Noslin e Tchaouna, e lui quel pallone così pesante lo ha scaraventato con rabbia dentro quella porta. Poi Castellanos ha commesso l’errore decisivo e alla fine anche il guerriero si è arreso sciogliendosi in lacrime vere di chi ha sperato, ha cercato, ma si è sentito vinto. Poi quel giro di campo pieno di rabbia e delusione e quel gesto così emblematico a mimare quegli attributi che forse non tutti alla fine nella serata di ieri hanno mostrato fino in fondo. Lui si, come sempre.